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LA FUNZIONE SOSPESA COME CONTORNO INFINITAMENTE ELASTICO DELLA FORMA

  • Immagine del redattore: Federico Babbo
    Federico Babbo
  • 18 ott
  • Tempo di lettura: 11 min

Comincio con un concetto elementare, quello di cornice o contorno, per presentare quello che sembra un concetto semplice e intuibile ma non lo è sempre e non per tutti, ma mi muoverò con decisione in uno spazio per natura ambiguo anche con esempi concreti. Chiunque abbia incorniciato un quadro o una fotografia ha percepito intuitivamente la funzione della cornice o contorno: non è solo elemento estetico, ma tramite tra opera e contesto. Il luogo in cui l’opera viene collocata determina la sua efficacia; spostandola altrove, può perdere senso o apparire fuori luogo, ma non sempre. Questo principio permette di introdurre nuovamente la nozione di funzione sospesa, che possiamo definire in questa occasione come contorno concettuale della forma.

A tal proposito, basti pensare alle ombre proiettate al lume, siano esse le ombre cinesi o quelle che i prigionieri della caverna platonica vedevano tremolare sulle pareti. Le ombre, pur prive di sostanza, possiedono contorni che offrono infinite possibilità di forma. Esse non sono il vero, ma ne custodiscono la promessa. Così la funzione sospesa: non è la forma, ma il suo limite percettivo, la linea invisibile che separa e al tempo stesso unisce l’idea alla sua manifestazione. È una condizione intermedia, un contorno infinitamente elastico, capace di adattarsi, trasformarsi, estendersi, eppure di restare riconoscibile e inequivocabile.

La forma, come intuizione in senso crociano, sta al di sopra del concetto di funzione sospesa che vi propongo. L’intuizione è l’atto espressivo che genera la forma e ne indirizza le potenzialità, mentre la funzione sospesa rimane materia simbolica aperta, in senso cassireriano, pronta a trasformarsi in funzione reale quando entra in contatto con la realtà concreta, declinandosi in nuove sfumature ma mantenendo inalterata la propria identità.

Per descrivere l'arte contemporanea che è pura esecuzione, possiamo prendere come esempio una semplice lastra di vetro trasparente, che non è del tutto una metafora provocatoria se pensiamo ad esempio a Duchamp. Prendiamo una lastra di vetro, semplice, neutra e depuriamola facilmente da ogni funzione (proprio come fanno gli artisti contemporanei nelle loro "opere"): possiamo darle qualsiasi forma, circolare, quadrata o rettangolare, ma resta chiusa. All’inizio è solo contorno, apparentemente vuoto e trasparente, senza funzione, ma la sua sola presenza già media la percezione del reale. Tralasciando il riflesso o la barriera fisica del vetro come materiale, prendiamo invece il suo taglio del contorno in lastra: quello c’è sempre, rifrange, riflette e può essere fastidioso o distraente. Rimuoverlo permette di cogliere pienamente il mondo circostante. Duchamp utilizzò invece questa circostanza di contorno a suo vantaggio con la trasparenza del "Grande Vetro", dipingendovi sopra per renderlo mimetico in qualsiasi contesto, tant'è che quando si ruppe durante il suo trasporto egli ne accolse i nuovi contorni frastagliati, anche interni, come facenti parte della medesima opera.

In architettura, lo stesso principio vale per la sagoma di un edificio che chiude lo spazio sul cielo, sul paesaggio naturale o su un contesto urbano. Una cornice architettonica potente e organica dialoga bene con la natura; in un ambiente cittadino, la stessa cornice deve mediare con il fattore antropizzato, adattandosi senza perdere la propria forza espressiva.

Torniamo volutamente alla circostanza pittorica. Mark Rothko ad esempio esprime chiaramente solo una bellezza apparente, poiché le sue campiture funzionano solo in spazi antropizzati. Portare una sua opera all’aperto, davanti a un tramonto, fa perdere potenza alla sua espressione, poiché la natura stessa offre il bello apparente in modo autentico. Mi sembra chiaro che, in questo esempio di cambio di ambientazione, non possiamo intuire alcuna funzione sospesa, ma solo un'imitazione della finestra, efficace soltanto all’interno di cornici artificiali. Prendiamo invece qualunque dipinto impressionista già dipinto "en plein air": esso sarà una cosa sola con l'ambiente circostante antropizzato o meno.

Il confronto con la scultura greca classica è illuminante in tal senso. La statua classica, con proporzioni ideali, dialoga direttamente con la cornice reale naturale, cogliendo la continuità tra arte e mondo. Nell’ellenismo greco, l’arte modifica il contorno classico della forma. La cornice originaria, che prima dialogava direttamente con la realtà, diventa un artificio: una nuova natura che media tra l’opera e il mondo circostante. Un esempio evidente è il Laocoonte, che rompe la staticità della scultura classica creando tensione e dinamismo, trasformando il contorno in elemento espressivo attivo. L’arte classica mantiene un rapporto diretto con il reale, più potente di quella ellenistica, e rappresenta un modello per immaginare opere o architetture capaci di funzionare in contesti diversi, non solo in uno predeterminato.

In architettura, insegnare che un edificio nasce per un solo luogo coglie solo una minima parte della verità. Un’architettura progettata per generare esperienza estetica piena dovrebbe funzionare in contesti diversi. La cornice interna della destinazione d'uso, come la cornice esterna di un’architettura, deve essere intesa come funzione aperta e versatile, dotata di potenziale: la sua ambiguità e inafferrabilità ne amplificano la forza.

È in questa ambiguità che trova spazio il concetto di forma incompiuta. L’opera incompiuta non è mancante, ma viva ugualmente di forma propria. Michelangelo, con i suoi Prigioni, ne offre la testimonianza più profonda: figure che emergono dal blocco senza mai liberarsene del tutto, trattenute in una condizione di perenne divenire. In esse la materia diventa metafora della funzione sospesa, tensione tra ciò che è e ciò che potrebbe essere. Questa sospensione, lungi dall’essere difetto, è la più alta forma di libertà espressiva, quella che permette alla forma di rinnovarsi continuamente senza mai esaurirsi.

In architettura, la funzione sospesa è composta da molteplici elementi indefiniti e indefinibili, di cui la parte più logica si manifesta nella cornice esterna, nel rapporto con il contesto, e in quella interna, legata alla dimensione d’uso. Tuttavia, la funzione sospesa non si esaurisce in esse: resta una condizione aperta, intuibile ma non pienamente determinabile, in cui la forma conserva la propria tensione viva tra espressione e realtà. Una forma può accogliere molteplici attualizzazioni senza perdere la propria identità, diventando simbolo attivo e generatore di esperienza estetica.

In questo senso è utile richiamare in questa nuova chiave interpretativa il pensiero di Aldo Rossi, per il quale il concetto di monumentalità non è vincolato alla scala o alla grandiosità, ma alla capacità di una forma di permanere nel tempo come principio ordinatore. Rossi concepisce il monumento come elemento capace di trascendere la funzione contingente e di esprimere memoria collettiva e volontà umana. La monumentalità è quindi per lui una forma che resiste, non perché immobile, ma perché mantiene una tensione viva con il contesto e ne rinnova continuamente il senso. La funzione sospesa, allora, può essere intesa anche come quella stessa tensione interna tra forma e memoria, tra contorno e contenuto, che fa della forma un atto duraturo di coscienza ma soprattutto di espressione estetica.

Si parla spesso di skyline, con i grattacieli che definiscono la cornice esterna verso il cielo. Ma se ribaltassimo in orizzontale il grattacielo, quale sarebbe la qualità visiva ed esperienziale? Dipende dalla sua forma, e a tal proposito potreste porvi questa stessa domanda osservando "The Line" di Fuksas, per intuirne la sua natura estetica ed espressiva, alla quale lascio volutamente solo a voi il giudizio personale.

Veniamo ora alla questione spinosa più stimolante e attuale, che mi riguarda personalmente e attivamente. Per trasferire questo concetto di cornice nella pratica espressiva con l’intelligenza artificiale generativa di immagini, dobbiamo "solo" trasporre il concetto formale d’immagine di un dipinto nella struttura di un linguaggio architettonico. La materia intuitivamente formata del dipinto si trasformerà così in materia informe che dovrà vedersela con la spazialità architettonica e l’ambientazione reale per prendere nuova forma, ma starà sempre all’autore cogliere le sfumature estetiche che trasformeranno la nuova forma in espressione, non in esecuzione, curandone l’indirizzo per l’ottenimento di un’esperienza estetica piena o decretandone, con maggiore probabilità statistica, la sua infelice riuscita.

La vocazione formale è sempre presente: bisogna saperla cogliere espressivamente. Non siamo infallibili: essendo l’arte e l’architettura espressione personale, le opere possono risultare anche infelici, sfigate, mal riuscite, ma trovare ugualmente riscontro umano nella vita di tutti i giorni. Per tutti, quando l'atto estetico è infelice, rimane di facile intuizione; il problema sono le "mode", che sono spesso un chiaro esempio condiviso di malcostume, perché ciò che è spiritualmente bello non passa mai di moda e non sarà mai solo apparenza.

In sintesi, la funzione sospesa non è il prompt che lanciamo su una qualsiasi AI generativa, ma può emergere anche tramite il prompt. Essa declina la materia che le sottoponiamo in infinite possibilità, ma ciò che è certo è che solo l’intervento intuitivo dell’autore nel fornire la materia giusta e nel rielaborarla attivamente può trasformare la latenza in forma attiva, generando esperienza estetica e non mera esecuzione artificiale. La cornice media il reale e consente alla forma di esprimere potenza, sia nella pittura sia nella trasposizione architettonica, mantenendo saldo il filo tra esecuzione ed espressione, tra ombra e intuizione, tra materia e memoria. THE SUSPENDED FUNCTION AS AN INFINITELY ELASTIC COUNTOUR OF FORM

I begin with an elementary concept, that of a frame or contour, to present what seems to be a simple and intuitively understandable idea, though it is not always so and not for everyone. I will move decisively within a space that is by nature ambiguous, also using concrete examples. Anyone who has framed a painting or photograph has intuitively perceived the function of a frame or contour: it is not merely an aesthetic element, but a bridge between the work and its context. The place where the work is placed determines its effectiveness; moving it elsewhere may cause it to lose meaning or appear out of place, but not always. This principle allows us to reintroduce the notion of the suspended function, which we can define in this instance as the conceptual contour of form.

To this end, consider shadows cast by light, whether the shadow puppets of Chinese theater or the shadows that the prisoners in Plato’s cave saw trembling on the walls. Shadows, though lacking substance, possess contours that offer infinite possibilities of form. They are not the truth, but they hold its promise. Likewise, the suspended function: it is not the form itself, but its perceptual limit, the invisible line that separates yet unites the idea and its manifestation. It is an intermediate condition, an infinitely elastic contour, capable of adapting, transforming, extending, and yet remaining recognizable and unequivocal.

Form, as intuition in Croce’s sense, stands above the concept of suspended function I propose. Intuition is the expressive act that generates form and directs its potential, while the suspended function remains open symbolic matter, in a Cassirerian sense, ready to transform into real function when it comes into contact with concrete reality, manifesting in new nuances while maintaining its identity.

To describe contemporary art that is pure execution, we can take as an example a simple transparent sheet of glass, which is not entirely a provocative metaphor if we think of Duchamp. Take a neutral, simple glass sheet and easily strip it of any function (just as contemporary artists do with their "works"): we can give it any shape—circular, square, or rectangular—but it remains closed. At first, it is only a contour, apparently empty and transparent, without function, yet its mere presence already mediates the perception of the real. Ignoring the reflection or the physical barrier of the glass as a material, consider its cut contour: it is always there, refracting, reflecting, and possibly distracting. Removing it allows one to fully perceive the surrounding world. Duchamp instead took advantage of this contour circumstance with the transparency of the "Large Glass," painting on it to make it blend into any context; so much so that when it broke during transport, he accepted the new jagged contours, even internal, as part of the same work.

In architecture, the same principle applies to the silhouette of a building, which closes off space against the sky, the natural landscape, or an urban context. A powerful and organic architectural frame interacts harmoniously with nature; in a city environment, the same frame must mediate with the anthropized factor, adapting without losing its expressive strength.

Let us return deliberately to painting. Rothko, for example, clearly expresses only an apparent beauty, as his color fields work only in anthropized spaces. Placing one of his works outdoors, in front of a sunset, diminishes the power of its expression, as nature itself already provides authentic apparent beauty. In this example of a change of setting, we cannot perceive any suspended function, only an imitation of a window, effective only within artificial frames. Conversely, any impressionist painting created en plein air becomes one with the surrounding environment, anthropized or not.

A comparison with classical Greek sculpture is enlightening in this regard. The classical statue, with ideal proportions, interacts directly with the natural frame, capturing the continuity between art and the world. In Greek Hellenistic art, the classical contour of the form is modified. The original frame, which once directly dialogued with reality, becomes an artifice: a new nature that mediates between the artwork and the surrounding world. A clear example is the Laocoön, which breaks the stillness of classical sculpture by creating tension and dynamism, transforming the contour into an active expressive element. Classical art maintains a direct relationship with the real, more powerful than Hellenistic art, and serves as a model for imagining works or architectures capable of functioning in multiple contexts, not just a predetermined one.

In architecture, teaching that a building is created for only one site captures only a small part of the truth. Architecture designed to generate a full aesthetic experience should function in different contexts. The internal frame of the intended use, like the external frame of an architecture, must be understood as an open and versatile function, endowed with potential: its ambiguity and elusiveness amplify its strength.

It is within this ambiguity that the concept of unfinished form finds space. The unfinished work is not lacking, but alive with its own form. Michelangelo, with his Prigioni, offers the deepest testimony: figures emerge from the block without ever fully freeing themselves, held in a condition of perpetual becoming. In them, matter becomes a metaphor for the suspended function, a tension between what is and what could be. This suspension, far from being a defect, is the highest form of expressive freedom, allowing form to renew itself continuously without ever exhausting.

In architecture, the suspended function is composed of numerous undefined and indefinable elements, of which the most logical part appears in the external frame, the relationship with the context, and in the internal frame, tied to the dimension of use. Yet the suspended function does not end there: it remains an open condition, intuitable but never fully determinable, where form preserves its living tension between expression and reality. A form can accommodate multiple actualizations without losing its identity, becoming an active symbol and generator of aesthetic experience.

In this sense, it is useful to recall in this new interpretative key the thought of Aldo Rossi, for whom the concept of monumentality is not bound to scale or grandeur, but to a form’s ability to endure over time as an ordering principle. Rossi conceives the monument as an element capable of transcending contingent function and expressing collective memory and human will. Monumentality is thus, for him, a form that endures—not because it is immobile, but because it maintains a living tension with context and continually renews its meaning. The suspended function, then, can also be understood as that very internal tension between form and memory, between contour and content, making form a lasting act of consciousness and above all of aesthetic expression.

We often speak of skylines, with skyscrapers defining the external frame against the sky. But if we were to rotate a skyscraper horizontally, what would be the visual and experiential quality? It depends on its form, and in this regard, you might ask yourself the same question observing Fuksas’ The Line, to intuit its aesthetic and expressive nature, leaving the judgment deliberately to you.

We now come to the most stimulating and current issue, which concerns me personally and actively. To transfer this concept of frame into expressive practice with generative image AI, we must “only” transpose the formal concept of a painting into an architectural language. The intuitively formed matter of the painting thus transforms into amorphous matter, which must confront architectural spatiality and real-world settings to take new form, yet it is always up to the author to capture the aesthetic nuances that transform the new form into expression, not execution, guiding it to achieve a full aesthetic experience or, with higher statistical probability, determining its unsuccessful result.

Formal vocation is always present: one must be able to grasp it expressively. We are not infallible: as art and architecture are personal expressions, works can also be unsuccessful, awkward, or poorly executed, yet still find human resonance in everyday life. For everyone, when the aesthetic act is unsuccessful, it remains easy to intuit; the problem is “trends,” which are often a clear example of shared poor taste, because what is spiritually beautiful never goes out of style and will never be only appearance.

In summary, the suspended function is not the prompt we launch on any generative AI, but it can also emerge through the prompt. It unfolds the matter we provide into infinite possibilities, but what is certain is that only the author’s intuitive intervention in supplying the right matter and actively reworking it can transform latency into active form, generating aesthetic experience rather than mere artificial execution. The frame mediates the real and allows form to express power, both in painting and in its architectural transposition, keeping the thread firm between execution and expression, between shadow and intuition, between matter and memory.

 
 
 

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